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La cultura a Pesaro dalla guerra alla paceLa cultura a Pesaro dalla guerra alla paceLa cultura a Pesaro dalla guerra alla pace

La Cultura di Pesaro dalla Guerra alla Pace

(in Dal tramonto all'alba. La provincia di Pesaro e Urbino tra fascismo, guerra e ricostruzione, a cura di A. Bianchini e G. Pedrocco, Clueb, Bologna 1995)

Introduzione

Gli avvenimenti successivi al 25 luglio costituiscono un momento, per l’esistenza degli individui, fortemente traumatico. Un intero mondo con la sua quotidianità, con i suoi riti, pare crollare sotto il peso degli avvenimenti. Soprattutto i giovani, studenti e soldati rientrati a casa, grazie alla stampa clandestina o ancor più grazie a contatti personali, iniziano ad interrogarsi sui tragici avvenimenti che li coinvolgono, sul recente passato, sul perché dello sfascio nazionale, su quale debba essere il loro ruolo nella mutata situazione1. Nella stampa clandestina ad esempio, in questa brevissima stagione, compaiono articoli sulle responsabilità degli italiani in genere e degli intellettuali in particolare. Si mette in evidenza come non abbiano reagito al regime ed alla sua «sconsa­crazione di valori»2 o come questa opposizione, quando vi è stata, sia consistita esclusivamente in un sentimento «spirituale», fatto di silenzi individuali, distacco dalla vita pubblica, inefficaci quanto inutili «nobili rifiuti», che hanno finito per costringere l’influenza dell’uomo di cultura nel chiuso del proprio animo o dello specialismo della propria singola arte. Nei discorsi di questi pochi intellettuali, perlopiù comunisti e socialisti, con qualche presenza azionista e cattolica, vibra una tensione ed un senso di responsabilità nuovi. Per alcuni di loro si aprono con quei giorni avventure intellettuali, oltre che vicende personali, fino ad allora sconosciute. Negli studenti che si avvicinano alla lotta partigiana, ad esempio, si assiste ad una presa di coscienza diretta più o meno lucida della condizione dei contadini e degli operai, che costituivano il grosso dei Gap e delle brigate. Inoltre si manifesta l’esigenza di appropriarsi del lato oscurato, censurato, della storia recente del proprio passato, di tutto ciò che conferenze pubbliche, spettacoli e libri di regime non avrebbero mai potuto riportare. Così ad esempio ricorda quel periodo studentesco della sua vita, il giornalista Alberto Mattioli:

Ero svagato e distratto: cominciavo ad aspettare le ragazze di sera e discutevo di politica con quelli della terza liceo. Tra essi ce n’erano alcuni che avevano da qualche tempo iniziato a far girare volantini ciclostilati e perfino libri presi chissà dove. D’inverno passeggiavamo avanti e indietro per il viale del vecchio Kursaal discutendo animatamente fatti e problemi che cominciavano appena allora a delinearsi dinanzi ai nostri occhi: l’inganno del fascismo, le questioni operaie, la Russia dei soviet, la sconfitta tedesca a Stalingrado, notizia quest’ultima che in quel periodo era di gran lunga più importante di tutto il resto (...).

1 Particolarmente significativi in tal senso sono gli articoli: Troviamo la via giusta, in «Fronte della gioventù. Organo unitario della gioventù antifascista marchigiana, 1944, n. 1; Noi giovani liberi, «Noi giovani liberi. Organo quindicinale del Comitato provinciale del Fronte della gioventù», che reca quale motto: Libertà Giustizia Cultura, 26 luglio 1944, n. 1.

2 Le citazioni tra virgolette sono tratte da Appello agli artisti e Responsabilità, «L’Italia libera», 27 luglio 1943, n. 4.

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